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sabato 2 febbraio 2008

UN TEATRO DI FUGURA, UMANA

9 DICEMBRE 07 - Cifra stilistica, espediente scenico ed elemento materico. Il burattino è per il Teatro del Carretto una costante e cruciale presenza in scena. A fianco di attori in carne ed ossa, di trovate ed artifici visivi, di luci e cromatismi curatissimi, il burattino vive di una vita non umana ma reale ed efficace. Lo scambio tra la carne ed i materiali inanimati è spesso motore della costruzione drammaturgica, è il perno su cui ruota a gran velocità la giostra teatrale in cui questa compagnia lucchese trascina il suo pubblico. Meccanismo che il Carretto gestisce con sapienza, fino alle sue estreme conseguenze. Fino a portare le due dimensioni, quella attorica e quella di figura, a sovrapporsi e scambiarsi identità. Culmine di questa poetica è la loro re-interpretazione del Pinocchio di Collodi, vista al Teatro Due di Parma lo scorso dicembre. Culmine appunto fino al rovesciamento, perché di burattini questa volta in scena a fare gli attori non se ne sono visti; c’era però uno straordinario, energico e multiforme attore a fare il burattino. Il destino letteralmente teatrale di Pinocchio, di cui parla la regista dello spettacolo Maria Grazia Cipriani, lo rende attore per natura, pensato da un Geppetto-regista (grande assente, in scena per lui solo una giacca) che lo vuole in grado di “…ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali…”. Comincia da metà il Pinocchio del Carretto, da quando il povero burattino incatenato e inguinzagliato subisce le frustrate rumorose e violente di un carceriere-Mangiafuoco dal volto coperto. E subito è chiaro dove ci si trova; o meglio dove non ci si trova. E’ evidente che siamo nel Gran Teatro di Mangiafuoco, ed è evidente che la scena così concepita è quanto di più vicino all’inconscio infantile ci possa essere. Un tipico incubo dei sei anni, se ancora qualcuno se li ricorda. La scena semicircolare è una gabbia, un circo nel quale il burattino è costretto ad esibirsi, un’arena in cui Pinocchio carambola da una disavventura ad un'altra. Una serie di vecchie assi di legno disposte a coro, dalla cui apertura centrale entrano ed escono personaggi animaleschi travestiti, e dalle cui botole spuntano luci, mani, voci… Nell’aria sgocciola un suono inquietante. Il Pinocchio, affetto da una sindrome istrionico-narcisistica, qui è protagonista indiscusso, la sua teatralità lo è, ed è lui stesso a raccontarci la sua storia. Esuberante, galoppante, infervorato, pienoni iniziativa, spesso piagnucoloso, egoista e capriccioso, Pinocchio è un disubbidiente, che cede alle tentazioni senza lucidità alcuna. Un bambino insomma, un attore dunque. Per di più melodrammatico, un comico dell’arte e un grand’attore dell’800 insieme, accompagnato da una Fatina anch’essa interprete popolare, un po’ Mimì, Tosca, e poi un po’ Madre Coraggio. Un Fatina che lo ama e che cresce, che si fa donna davanti ad un Pinocchio che più che un bambino non riesce ad essere. E’ un susseguirsi di scene immaginifiche, popolate di personaggi inquietanti, che si compongono come quadri di Chagall, dove gli asini suonano i violini alla luce della luna; è un sogno ma anche no, fatto con gli occhi a mezz’asta questo Pinocchio del Carretto, in cui gli interpreti danno straordinaria prova della propria artistica fisicità e dove la ricerca sul suono, la luce e le trovate sceniche rendono magico ogni giro di giostra. In un circo, in un teatrino, nel ventre del pescecane, nel paese dei balocchi, Pinocchio è una maschera teatrale comica e tragica insieme, come i pagliacci di un tempo, vittima della sua indole e del suo destino scenico. Ed infatti nell’aria spesso si ode “Ridi, pagliaccio…e ognun t'applauudirà/Tramuta in lazzi lo spasmo e il pianto/in una smorfia il singhiozzo e il dolor/ridi pagliaccio/sul tuo amor infranto/ridi per quel che t'avvelena il cor!”. Non c'è liberazione nel suo farsi carne, c’è solitudine, ambiguità. Un po’ poca emozionante forse questo Pinocchio, ma solo per via di quel suo modo così sopra le righe e paradossale di essere in scena e di essere scena, che non permette immedesimazione.

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