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venerdì 8 febbraio 2008

Distorsioni molieriane

Il genio di Moliere non ha tempo: le sue verità sull’uomo e le sue trovate comiche sono rimaste dopo 400 anni cristalline e intatte; secoli di rappresentazioni hanno portato in scena ancora ed ancora i suoi personaggi e le sue situazioni con slanci e dimensioni inaspettati. La regia che Arturo Cirillo firma de Le Intellettuli, sulla brillante riscrittura di Cesare Garboli, vista lo scorso 17 aprile al Teatro Ariosto di Reggio Emilia, è più che una conferma del genio molieriano: ne è un’esaltazione ed insieme un quasi superamento. Specchio dei tempi, passati e presenti, che rimanda un’immagine grottesca ma terribilmente reale (altrimenti non se ne riderebbe così) dei modi affettati e pretenziosi di certi salotti intelligenti e coltivati, in cui un “comunque” può divenire chiave di volta poetica nel nulla e nella miseria intellettuali che lo circondano. Perché “la cultura è l’humus dove fioriscono gli idioti”. Ed a corte (leggi governo, leggi sistema politico) l’idiozia e la stupidità sono decisamente benviste e benvolute; l’ignoranza è perentoriamente interesse di stato. Poco è cambiato, se non nei mezzi. La scena si presenta lucida e contornata da specchi deformanti, o riflettenti una realtà deformata, a terra in corso d’opera si accumulano sputi e residui; qui i personaggi ed i loro straordinari interpreti, tutti bravissimi e tutti intonati, si muovono addobbati di enormi e buffe parrucche, ampi e farseschi abiti, di gesti energici, precisi ed enfatici. La trama è “semplice” e pretestuosa: la schermaglia amorosa, il contrasto tra uomo e donna, donna e società, tra anima e corpo, tra elevazione spirituale e soddisfazione carnale, tra amore ed interesse, tra profondità intellettuale e pura attitudine intellettualoide. Il risultato però è complesso. Gustosamente complesso; con quel sapore ironico, sguaiato, verace molto partenopeo tipico del regista e della sua compagnia. Dalla servetta che con energia riscatta le sue inattitudini linguistiche alla zia/o mitomane, dal marito pusillanime al corteggiatore-poeta impostore, dalla sorella colta a quella da marito, dalla madre despota e letterata al pretendente di buon cuore…tutti concertano, dialogano e monologano con una recitazione sopra le righe ma mai fuori dalle righe, con dei modi paradossali ma mai assurdi, con un dosaggio preciso di elementi farseschi e momenti seri, con dei tempi e ritmi comici quasi geometrici. Di teatro di testo, di parola, classico e narrativo se ne andrebbe a vedere molto di più, e non ci sarebbe bisogno di artifici scenici d’effetto, di laser, schermi, rumori assordanti, di una ricerca e di una sperimentazione ossessive e inoffensive se ci fossero più possibilità di assistere a spettacoli come questo. Peccato solo per uno dei versi: “Le donne di oggi vogliono addirittura scrivere!”

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