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sabato 2 febbraio 2008

LA COMMEDIA IPERBAROCCA DI CLAUDIO LONGHI

28 MARZO 07 - Nuova tappa per il prolifico nucleo di attori permanenti del Teatro Stabile di Torino, Fondazione Teatro Due e Teatro di Roma, dal 31 marzo impegnato nell’allestimento de ‘La folle giornata o Il Matrimonio di Figaro’ di Beaumarchais, in scena fino al 2 aprile al Teatro Due. Le frivolezze e le vacuità amorose della celebre ed edulcorata versione mozartiana sono, nella commedia creata da Claudio Longhi sulla traduzione in prosa di Valerio Magrelli, elementi di dècor, strumentali alla forte satira politica e sociale che lo stesso Beaumarchais impresse al testo. Tema centrale di questa “commedia iperbarocca” è la pulsione umana, la libido, e lo scontro di quest’ultima con la ragione. Dopo un secolo di cristallino e saldo Illuminismo, l’uomo e la donna di fine ‘700 paiono correre verso il buio e “non a caso”, sottolinea il regista, “il finale della commedia è tutto ambientato di notte”. Ecco cosa accade, dice Longhi, “quando la ragione non è più un valore ma diventa un mezzo di sfruttamento”, usando il ragionamento per manipolare gli altri, essendone manipolati. “C’è nel testo inoltre un forte contrasto tra il perbenismo di facciata, l’apparenza di decoro e contegno, ed un retro marcio, lo sfacelo di un mondo che si sta sfasciando”. Siamo vicinissimi al 1789, al collasso del mondo aristocratico, dei diritti di nascita. Figaro è il borghese che si è fatto da sé, che ha lottato con il suo ingegno e con il suo spirito allegro per ottenere una posizione e lotta per tenersi ciò che il Conte Almaviva crede di potersi arrogare con diritto feudale: la sua sposa ed il suo onore. Uno scontro e un odio di classe che superano la dimensione storica e arrivano fino all’oggi. “Una commedia sul comportamento umano” che ne svela, spiandolo, mascherandolo, travestendolo, le contraddizioni, tra natura e cultura. “Un testo particolarmente funzionale ad una giovane compagnia, una palestra impegnativa per i rapidi cambi di battuta, le forti cesure del testo, i numerosi concertati che impongono un ritmo serrato alla recitazione”. Abbandonato, anzi abolito lo psicologismo teatrale, Longhi segue la lezione ronconiana e porta i toni all’esasperazione, con un vago effetto marionettistico, perché sia costante e martellante il senso paradossale delle azioni libidinose, su cui la ragione perde la presa. Un gioco di citazioni e straniamento, in cui le musiche mozartiane hanno arrangiamenti elettronici ed i brani pop sonorità barocche; in cui i costumi di Csaba Antal e Gianluca Falaschi alludono a quella moda contemporanea che a sua volta fa il verso al‘700 (prima fra tutti la Westwood). Un carillon scenico che lancia al pubblico lo sguardo inquietante di certe bambole meccaniche di una volta.

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