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venerdì 8 febbraio 2008

AFFARI DI CUORE

“Nella solitudine dei campi di cotone”, testo del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès, prematuramente scomparso nel 1986, è stato uno degli eventi in scena al Teatro Parma Festival dello scorso maggio, interpretato da Lino Guanciale e Mariano Pirelli, curato da Giovanni La Fontana. Un momento di sospensione delle grandi azioni sceniche, un momento di riduzione, concentrazione e raggrumazione delle tensioni in un piccolo spazio, un breve tempo, una luce bassa, una musica discreta. Un momento di lucida e tagliente verità sulle relazioni umane, non solo amorose. Godot forse non lo si aspetta più da tempo nel teatro contemporaneo, ma certo ancora si viene rapiti dal fascino dell’assurdo, del presagito, del sentimento d’attesa, del desiderio inappagato perché inappagabile. Il tutto declinato nella società dei consumi, in cui il valore delle cose, delle persone, delle situazioni si misura sullo scambio, non più sull’uso. Così l’occasione scenica, l’hic et nunc dell’evento teatrale, è una vendita, uno scambio, di natura indefinita e d’entità irrilevante. Un dealer, venditore, ed un buyer, compratore, legati indissolubilmente dalla loro stessa condizione, entrambi bisognosi l’uno dell’altro per esistere, s’incontrano. Soffrono in alcuni momenti, in altri sicuramente provano piacere. Ed infine si lasciano, nel buio. Nel tempo sospeso ed indefinito del crepuscolo, nel perpetuo gocciolare dei momenti, nello spazio incolmabile della solitudine, il pubblico assiste al loro scambio. Parole e qualche gesto di contatto, di fuga, qualche movimento d’avvicinamento, nella costante frustrazione dell’azione e dell’iniziativa. Koltès ha reso dialogo serrato il paradigma delle relazioni umane: l’eterna lotta tra chi insegue e chi si fa inseguire, chi ha ed offre e chi non ha e chiede, in un’altalena di posizioni di forza determinate da chi ha i bisogni più forti, da chi rifiuta e lascia spazi di contrattazione. Nel rapporto tra i due uomini in scena non sappiamo con precisione quale oggetto, condizione, situazione, siano materia di scambio, ma certo l’ora tarda, le luci lontane davanti e dietro di noi e l’esitazione dell’uno davanti alla fermezza dell’altro, e viceversa...le gambe che si divaricano, gli occhi bassi, l’imbarazzo e la malizia…E’ un rito che si ripete perpetuo ed efficace come solo i riti possono essere: l’eterno e paradossale gioco delle parti, cui nessuno di noi si può sottrarre. Uno spettacolo che lascia il pubblico e gli attori nella solitudine della loro umanità, nell’incomunicabilità e nell’insoddisfazione. Perché scambio non significa incontro, o meglio, non significa condivisione; perché non ci si può sottrarre alla lotta.

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