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sabato 2 febbraio 2008

ARTIGIANATO ESTETICO

9 SETTEMBRE 07 - Si sono conosciuti tra i banchi di scuola e i laboratori del Corso di Laurea in Scienze e Tecniche del Teatro dello IUAV di Venezia. In laguna hanno cominciato a creare insieme, unendo conoscenze tecniche e universi culturali diversi fra loro, ed insieme quest’estate sono approdati ai maggiori festival della penisola. Pathosformel sono un gruppo di giovani artisti-artigiani (giovani sul serio, al di là del modo italiano di chiamare “emergenti” tutti gli under 50) del nuovo teatro di ricerca italiano, per ora senza fissa dimora ma ospiti di realtà importanti come la Societas Raffaello Sanzio e Centrale Fies, con cui portano avanti due importanti progetti creativi. La timidezza delle ossa ha ottenuto la menzione speciale della giuria di Premio Scenario 2007 ed ha così girato le piazze legate all’importante concorso nazionale; Volta è andato in scena a Drodesera 2007 ed a Bassano nell’ambito di Operaestate. La formazione con cui Pathosformel ha creato e agito questo dittico è composta da Francesca Bucciero, Daniel Blanga Gubbay, Paola Villani, Milo Adami, ma ad ogni progetto il gruppo si apre e si chiude ad inglobare nuovi componenti o nuovi passaggi (Loredana Scianna ad esempio per la consulenza coreutica). Ed è proprio la condivisione di saperi diversi la loro forza, la relazione in costante movimento dei loro punti di vista, ad incontrarsi e scontrarsi per creare opere sceniche dinamiche e versatili, a più dimensioni. Da qui è cominciata l’avventura artistica, dall’entusiasmo e dalla diversità. Si è definita così una metodologia di lavoro collettiva, fatta di compenetrazione e messa in comune, in tutti gli aspetti della creazione scenica.
Pathosformel etimologicamente viene dal greco pathos e dal tedesco formel, alla lettera "formula di pathos". Il nome lo hanno tratto dagli scritti filosofici dell’iconologo tedesco Aby Warburg, evocando un universo di senso ed una poetica molto definiti, se pur complessi. Nell’immagine che identifica forma e contenuto si trova un’unità superiore, con una valenza espressiva che va al di là delle modificazioni stilistiche. All’interno di culture che non si sono mai potute conoscere tra loro per evidenti ragioni di iato spazio temporale ci sono formule precostituite di rappresentazione che ritornano, declinate in strutture sempre nuove ed originali. Dice Francesca Bucciero, che ha partecipato a Pathosformel fin dalla sua genesi nel 2004: “Abbiamo scelto insieme di utilizzare questo termine come nome per il nostro gruppo perché individua il modo in cui lavoriamo. Partire da una formula, da un materiale, e da li cominciare a scoprirne le potenzialità, esplorarne ogni aspetto per creare un lavoro originale, qualcosa di nuovo”.
Parla di lavoro Francesca perché tutta la loro produzione è fatta di fatica fisica e di ricerca molto concrete con cui giungono a risultati scenici astratti ed evocativi, in cui la narratività è portata al grado zero. “L’artigianalità è alla base della nostra qualità di lavoro sempre. Il nostro è un fare artistico, fortemente artigianale, che comincia con la scelta del materiale per capire cosa e come ti consente di creare e produrre. Quello che uscirà è già insito in quel materiale, dobbiamo solo tirarlo fuori, sperimentare. Ci rapportiamo quotidianamente con la costruzione fisica degli oggetti e delle strutture di scena, affrontando in prima persona i processi e le tecniche produttive manuali della creazione scenica. E’ da questa dimensione di artigianalità che possiamo estrarre il potenziale comunicativo di un materiale e su quel potenziale poi iniziamo a lavorare in modo artistico, poetico”. Nel dittico scenico visto alle finali di Premio Scenario al Festival di Santarcangelo e a Drodesera – Centrale Fies questi elementi di fattività e stretto legame con la materia, anche sonora, arrivano al pubblico forti e chiari; emergono nettamente dallo sfondo chiaro e luminoso del telo de La timidezza delle ossa e dall’oscurità dello spazio scenico nudo di Volta. Aggiunge Francesca: “Questi ultimi due lavori sono partiti entrambi dalla scelta di due materiali (nda. un telo di PVC e della cera mista a pigmenti UV) da cui abbiamo cercato di estrarre un potenziale comunicativo.” Ma non è la materia sola a farsi poesia, è il corpo umano e la relazione che tra essi si instaura a creare l’effetto scenico, a coinvolgere il pubblico in una dimensione nuova; la chimica e la fisica di quel corpo a reagire con la chimica e la fisica di quel materiale. “Il materiale nel nostro lavoro è sempre in relazione al corpo. Questo è il punto di partenza lavorativo. Il secondo grande ed importante punto è lo spettatore. Lo spettatore è sempre dentro il processo creativo e artigianale. Partiamo da un materiale, lo mettiamo in relazione con un corpo ed infine dimostriamo cosa quella relazione è in grado di produrre, che tipo di immaginario visivo e percettivo può nascere. Lo spettatore completa il messaggio perchè vede cose che noi da dentro non possiamo vedere. Dal momento in cui si viene messi di fronte al materiale finito il campionario visivo ed emotivo non è mai fissato, non è mai dato né preconfezionato. Non sappiamo mai quale sarà il risultato finale. Lo chiamo Principio di Ignoranza: io performer e creatore non so fino a che punto la tua immaginazione di spettatore possa arrivare e parto da questo principio di ignoranza per lasciare la comunicazione aperta. In questo modo lo scambio con il pubblico diviene ulteriore materia su cui lavorare. La sensazione dello spettatore arricchisce sempre il lavoro”.
E allo spettatore nella sua libertà emotiva è però negata l’indifferenza. In entrambi i lavori e forte la suggestione visiva, astratta e sublimata; è forte lo stimolo percettivo, tradito o confermato. “Portiamo in scena anche aspetti magici, creando effetti di stupore, con una componente intensa di meraviglia e di divertimento”. La timidezza delle ossa lascia a bocca aperta in alcuni momenti, osservando le apparizioni e le sparizioni di corpi e membra fluttuanti; Volta sfida la vista, con pezzi e scaglie di luce che compongono i corpi e li scompongono. “Anche l’audio è molto importante”, prosegue Francesca, “nella Timidezza è nato dai movimenti fatti sul telo ma alcune parti hanno viceversa dettato i movimenti. L’audio avvolge lo spettatore, lo coinvolge”. Vista ed udito dunque stimolati in modo originale e complesso per cercare riferimenti spaziali nuovi, per trovare spunti emotivi. Il lavoro creativo collettivo è fluido e si nutre anche della presenza del pubblico, ma nulla è lasciato all’improvvisazione: “la struttura del lavoro è solida. In scena non c’è mai una partitura fisica improvvisata. La codificazione della partitura fisica è fissata e molto precisa; tutto definito in fase creativa, dopo uno studio lungo ed approfondito del materiale, delle sue potenzialità e dei suoi limiti. Dopo aver preso decisa confidenza con il materiale possiamo fissare gli elementi drammaturgici, che sono fatti di movimenti. Il movimento è la drammaturgia, abbiamo il corpo, non il testo.”
In scena la voce non c’è. Ma non è un’eliminazione, solo un’assenza, la scelta di una direzione. “La voce a volte è presente nelle tracce audio, ma frammentata. Come il corpo. Non è però un’esclusione a priori; questo è un percorso che non comprende la voce, ci interessava il corpo. La voce non è entrata a far parte di questo processo ma abbiamo avuto appoggi e spunti quotidiani concreti nel lavoro, figurativi e narrativi. Il fatto che non ci sia la voce non lo rende un lavoro astratto; dove la voce manca sembra sempre che ci sia un problema. Semplicemente questa volta non abbiamo creduto che in questo lavoro la voce fosse necessaria. Abbiamo scelto che il linguaggio non fosse la parola ma un altro medium, molto strutturato, quello del corpo. Abbiamo scelto un altro tipo di grammatica”.
Della parola non si sente la mancanza, della narrazione si può fare a meno ed il teatro contemporaneo sempre di più si sposta sui terreni alti e brulli della grammatica fisica, raggiungendo quote in cui c’è poco ossigeno ma panorami mozzafiato, pochissima vegetazione ma un’atmosfera pungente e sferzante. Pathosformel sfida la rarefazione dell’aria, con la sfrontatezza dei loro venti e più anni e con la forza di appoggi culturali solidi (da Artaud a Bacon, da Deleuze a Klein). Il gruppo ha dimostrato di saper addomesticare materiali difficili, di avere un’autosufficienza ed un’indipendenza tecnica ammirabili, forte padronanza della scena e delle sue tecniche diverse (loro anche uno spettacolo di teatro di figura dedicato a Beckett, (Che cosa sono le) nuvole). I prossimi mesi li vedranno in scena al CRT di Milano, in dicembre, ed al Teatro Comandini di Cesena, nella seconda metà di gennaio, all’interno di una rassegna firmata Socìetas Raffaello Sanzio che in cartellone ospiterà entrambi gli spettacoli del gruppo. Per informazioni www.pathosformel.org; pathosformel@gmail.com

1 commento:

Loredana Scianna ha detto...

Del lavoro di pathosformel hai già detto tu. Non ho contenuti brillanti da aggiungere, per cui scelgo l'esperienza. La settimana a Dro è stato un tempo dilatato e fertile, gli spazi enormi e vuoti di Centrale Fies hanno fatto largo al pensiero. Tutto il contrario del quotidiano compresso e affannoso in cui si vive normalmente. E' stato un vero privilegio poter vagare all'alba sul prato, di notte nelle enormi sale, permettersi il lusso di stare lì, proprio lì, su quella cosa che vuole prendere forma e nascere senza spinte violente.