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venerdì 8 febbraio 2008

API, SCARABEI E UOMINI VOLANTI

In un famoso testo degli anni ’80 sulla teoria della performance, Richard Schechner riflette sul proprium teatrale del mondo animale e per farlo analizza e descrive la meravigliosa danza delle api ballerine, un esempio di perfetta sincronia e coordinazione inapprese ma scritte geneticamente nel loro dna. Anni prima, nel 1929, Nicolaj Evreinov aveva pubblicato Il Teatro nella Vita, in cui il regista e teatrologo russo si soffermava sul mondo animale e la sua spettacolarità: le api sono anche qui descritte come creature con una forte vocazione teatrale. Ancor prima, nel 1901, il premio nobel belga Maurice Maeterlinck, anch’egli innamorato della poesia e del simbolismo dei comportamenti di questi insetti, compose un trattato sulla loro vita: La Vie des Abeilles. Oggi, James Thierrée e la sua Compagnie du Hanneton, da lui fondata nel 1998, hanno costruito a partire da un capitolo di questo trattato, precisamente Il massacro dei maschi, uno spettacolo eccezionale che, partendo dal mondo animale arriva a far emergere l’innata teatralità dell’uomo e le sue le incredibili potenzialità, nei corpi, nelle percezioni, nelle immaginazioni. La Veille des Abysses ha già toccato molte città europee, ha incantato pubblici di molte nazionalità; il breve tour italiano ha eccezionalmente e significativamente visitato il Teatro Due di Parma ed il Teatro Verdi di Firenze, tenendosi lontano dai centri teatrali più importanti, dai palazzetti dello sport e dai pala-congressi, esprimendo le nuove e grandi potenzialità della “periferia”, lontano soprattutto da quell’espressione del nuovo circo francese (franco-canadese) che spettacolarizza molto e inventa poco.
In scena cinque personaggi in cerca d’autore, un gruppo di eccezionali singolarità artistiche che creano una coralità straordinaria, dei duetti meravigliosi, degli assoli mirabili: Uma Ysamat, soprano spagnolo, capace di un’ironia e una versatilità comicissima; Raphaelle Boitel, giovane contorsionista francese che sembra essere fatta di un materiale non terrestre, sembra non avere resistenze, densità, peso; Thiago Martins, capoeirsta ed acrobata brasiliano che vola e porta il suo corpo nello spazio ignorandone, o meglio dimenticandone, sfidandone gravità, equilibrio e direzioni; il danzatore svedese Niklas Ek, la cui espressività fisica e facciale va molto oltre la parola e la cui naturale ironia è supportata da una tecnica mirabile; James stesso, acrobata e performer, musicista, regista e danzatore, che ha fatto del suo corpo uno strumento di precisione, comicità, emozione in continua, fluida trasformazione. Interpreti fantastici, perché figure di sogno, e bravissimi, alla ricerca di una storia, di una drammaturgia, della loro biografia, costruendo e decostruendo scene, oggetti, corpi. Personaggi in cerca d’autore di pirandelliana memoria, padroni della dimensione meta-teatrale quanto i protagonisti del dramma italiano, tenendosi sempre sul sottile filo dell’ironia, del paradosso, portando in scena sé stessi ma amplificando alla massima potenza il loro essere.
Della lotta delle api iniziale è rimasto apparentemente poco: un anagramma nel titolo e la battaglia contro un nemico invisibile; ma a guardar bene è nella sincronia dei movimenti, nella loro perfezione, nei voli, nelle elevazioni e nei corpi senza scheletro, molli, plasmabili, elastici, che emerge con potenza l’istinto, la naturale ed animale teatralità degli interpreti. Pare che della pesante ossatura umana sia rimasto poco o niente, pare attingano ad un’innata capacità spettacolare che risvegliata, sollecitata e protetta li ha portati direttamente alle profonde comuni radici animali, a quel punto di congiunzione, anche con che le api, lontano, coperto da strati e strati di evoluzione. Il tutto all’interno di una scatola magica, di una dimensione onirica, fatta di barocchi cucù-copricapo, ruote enormi e praticabili, divani mangia-uomini e sedie scivolosissime, pianoforti smontabili, sedie a dondolo, giradischi inceppati... I cinque personaggi mentre cercano se stessi raccontano al pubblico chi e cosa è un essere umano, come archeologi o antropologi, paleontologi, loro stessi referti senza ossa di antiche vestigia. Non c’è un messaggio, non c’è una morale, solo la risposta al semplice, atavico e intenso bisogno di raccontare e farsi raccontare delle storie. In questo campo il teatro, dice Thierrée, ha un vantaggio di migliaia di anni rispetto a cinema e tv. Ha un’efficacia rituale, un’eluttabilità e un’impellenza che ne moltiplicano l’intensità. Come un sogno, come un’opera di Magritte o Dalì, La Veille des Abysses è una successione di visioni, di opere d’arte che prendono vita, un’onirica composizione di teatro, danza, nuovo circo, acrobazie, musica…la cornice poetica è fatta di libri antichi, mobili e suppellettili vittoriani, cancelli, enormi strutture volanti a cui appendersi, da cui penzolare, di piccoli oggetti più o meno quotidiani che potenzialmente possono essere tutto. I costumi, curati da Victoria Chaplin, madre di James e figlia di Charlot, sono al tempo stesso poetici e funzionali, strumenti con cui giocare e costruire le scene ma anche elementi artistici fondamentali per l’ambientazione decadente, ironica e surreale. In una garconiere d’altri tempi, i cinque personaggi si scontrano e incontrano continuamente, tra di loro e con gli oggetti in scena: sono obbligati a trovare delle soluzioni, soluzioni che modificano e trasformano la scena e tutto ciò che essa contiene. Un divano che inghiotte chi si siede, che ne sputa fuori il corpo, viene affrontato in tutti i modi e da tutti i lati; un cancello è un ingresso, attraverso cui passare arrampicandosi, scivolando tra le sbarre, entrando con una parola d’ordine fatta di braccia e gambe, gesti precisissimi e compulsivi. In una storia un po’ d’amore un po’ no, perché le interpretazioni sono milioni, come milioni le possibilità immaginative della nostra mente. L’incontro e lo scontro poi avviene anche in se stessi, dentro il proprio corpo: Thierrée si sdoppia, schizofreneticamente diviso in due, con una metà del corpo che lo tira da una parte e l’altra metà dall’altra, diviso in senso verticale…si sdoppia con il busto che lo sostiene forte e stabile e le gambe che scivolano, perdono l’equilibrio e l’appoggio, scisso questa volta in senso orizzontale. Ci si scontra con un giornale, impazzendo per sfogliarlo, ci si scontra con un piano forte, con la propria voce, che manca, torna e tradisce a volte. E ogni personaggio ha un modo diverso di affrontare la ricomposizione, di trovare delle soluzioni, ognuno con le sue doti artistiche, con la sua tecnica, ognuno a far saltare il lucchetto della nostra immaginazione con la propria personale chiave.
Per più di un’ora si è investiti da una tempesta, che inizia soffiando via gli attori e prosegue facendoli carambolare e volare sulle teste della platea, spiazzandone le percezioni, appagandole tutte, non trascurando ed anzi premiando l’intelligenza e l’ironia del pubblico. Si prende sé stessi, il proprio dolore e le proprie debolezze e se ne fa risata e bellezza intense, come pensava lo stesso Charlie Chaplin. Una formula tanto semplice quanto preziosa. Una risata che ha il gusto forte dello straordinario, una risata che sta tra lo stupore e la gioia di esserci, di essere lì ad assistere ad una tale magia. I motivi che portano il pubblico a teatro sono tanti, di varia natura, personali, collettivi, culturali e biologici, il teatro ha ragioni che superano la ragione. Ad assistere a questo spettacolo ci si va per tutte quelle ragioni, e tra queste soprattutto per il divertimento: per il riso, per la fascinazione e per essere portati via, dis-vertiti, per essere condotti in un altro mondo, bellissimo, poetico, magico e incredibilmente vivido, in ogni suo dettaglio. La prossima occasione di vedere la Compagnie du Hannetton sarà tra un mese, portata downunder dal vento che gonfia la vela finale: approderà a Sydney, Australia, dall’8 al 22 gennaio per il Festival che animerà la città di numerosi e interessanti eventi di diverso genere.

BIOGRAFIA:

Il suo paese d’origine è il teatro; è nato in Svizzera nel 1974 ma ha vissuto un po’ ovunque. A quattro anni le sue gambe e i suoi piedi correvano svelti sul palco e poi dietro le quinte, sbucando fuori da una valigia portata in scena dal padre e lasciando il pubblico stupito e divertito. Figlio nipote e bisnipote d’arte, James Thiérrée è nato sul palco. Sua madre è Victoria Chaplin, suo nonno Charlie Chaplin, il suo trisavolo lo scrittore e drammaturgo Eugene O’Neill, suo padre è Jean Baptiste Thiérrée, fondatore con la madre del Cirque Immaginaire e poi Invisible. Con loro vive in scena, incontra gruppi di teatro diversi, esperienze artistiche varie; si forma come attore, musicista e come acrobata attingendo dai saperi che incontra sulla sua strada, fermandosi per poco alla Theatre School di Harvard a Boston, al Piccolo di Milano, a Parigi lavorando con Isabelle Sadoyan. Numerose le esperienze da interprete, teatrali e cinematografiche, con Benno Besson, Peter Greenaway, Maurizio Nichetti, Bob Wilson e molti altri. Nel 1998 fonda la sua compagnia e la chiama Du Hanneton, cioè “dello scarabeo volante”, a riprova di quanto l’immaginario animale, specialmente con un esoscheletro, sia per lui affascinante e fonte di grande ispirazione. Lavora sull’inconscio, l’improvvisazione e su quello di cui non è possibile prevedere la fine, dice. Ama l’incertezza, i paradossi, gli enigmi fisici, tutto ciò che sorprende la percezione e le aspettative. La Veillée des Abysses è la sua seconda creazione, il primo spettacolo anch’esso di grande successo internazionale fu La symphonie du hanneton.

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