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venerdì 8 febbraio 2008

LEZIONI DI STILE, D’UN PINGUINO SENZA IL FRAC

“…apri bene gli occhi, parla bene, ascolta tanto…”
Ripensando alla produzione teatrale della scorsa stagione a Parma, c’è uno spettacolo che ci ha divertito, emozionato e affascinato più di tutti. Ci si è trovati a pensare “no, ancora, ancora, non fatelo finire”, si è riso tanto, si è pianto un po’, ci si è fatti qualche “semplice” domanda sul senso della vita, ma senza angoscia…tutto quello insomma che si vorrebbe (e scusate il moralismo, dovrebbe) fare quando ci si siede in una platea teatrale. Il pinguino senza frac, l’ultima favola-in-scena di Letizia Quintavalla e del Teatro delle Briciole, ha debuttato la scorsa primavera al Teatro al Parco e da quel momento Salvatore Arena, Agnese Scotti e Beatrice Baruffini, i tre attori, non hanno più smesso di dondolare, strusciarsi e “pinguinare” (se la mucca muggisce il pinguino pinguinisce, forse).
Il pinguino senza frac è uno di quegli spettacoli per i quali qualunque definizione ci sembra riduttiva; qualunque riconduzione ad un codice narrativo o stilistico sarebbe assolutamente non esaustiva, e ne tradirebbe il senso e la poesia. Il pubblico è per lo più molto basso, rumoroso e colorato, e da ciò si potrebbe dedurre che l’ambito sia quello del teatro per ragazzi. Ma nient’altro, a parte appunto l’altezza e il nostro cappotto nero, ci ha fatto sentire seduti nella platea sbagliata. Anzi, ci si è sentiti a nostro agio come poche volte, e con un solo biglietto si è assistito a due spettacoli: uno in scena ed uno, piuttosto movimentato ed imprevedibile, in sala.
Si è tentati, poi, di definire la storia, liberamente tratta da un racconto di Silvio D’Arzo, come un romanzo di formazione: il viaggio di un giovane verso la maturità, superando le avversità del cammino con carattere e tornando a casa senza niente nello zaino ma tanta esperienza e saggezza nel cuore. Ma così non si renderebbe affatto conto dell’originale taglio comico e commovente del racconto, degli aspetti didattico ed animalista, della poesia semplice ma intensa. Limpo è un giovane pinguino, nato in una famiglia povera, così povera ma così povera, che la sua mamma e il suo papà non possono provvedere a lui; tantomeno possono procurargli il frac che ogni rispettabile pinguino dovrebbe indossare. Senza il frac Limpo, tutto bianco e stralunato, non può andare a scuola. Fatto il sacco, salutati la mamma ed il papà, Limpo si mette allora in cammino, per procurarsi i soldi necessari per avere un frac di tutto rispetto. Saranno il suo coraggio, la sua cortesia ed il suo rispetto a fargli guadagnare quanto basta per un frac. E non solo. Limpo è un “pinguinino” con tanta voglia di sapere, conoscere, capire, e saprà fare tesoro degli incontri durante il viaggio, tutti preziosi momenti di scoperta del mondo. Si accorgerà di come il pianto dei cuccioli sia universale, che si tratti di pinguini, di temibili e feroci orsi o d’infidi e crudeli uomini cacciatori. Perché essere forti non vuol dire essere felici. Scoprirà quanto è duro il mondo, quando dopo tante fatiche e tanti sacrifici verrà derubato di tutti i soldi guadagnati. Ma per fortuna per avere un frac, specialmente se si è un pinguino che cresce, non sono poi così tanto necessari i denari; piuttosto si deve aver imparato a stare da soli, aver visto l’orso in faccia, aver faticato, aver conosciuto l’uomo. E Limpo tutte queste cose le ha fatte. Ed il frac se lo è splendidamente meritato.
Non c’è niente di scontato ne Il Pinguino senza frac. Il fatto che molti indizi (i protagonisti sono pinguini e i co-protagonisti foche, orsi e gabbiani) facciano immediatamente pensare di essere in Antartide, non ha affatto limitato l’immaginazione del pubblico: le splendide scene di Abel Herrero e le suggestive luci di Massimo Consoli, suggeriscono più un ambiente lunare e del sogno, un luogo algido e gelido senza tempo, un Circolo Sociale Antartico. Le musiche di Alessandro Nidi riescono ed essere epiche e delicate, come è d'altronde la schiusa di un uovo, la vita.
Se poi la foca è una tirchia signora veneziana, il crudele gabbiano ha un che di uomo d’onore, il pinguino Limpo è un po’ Oliver Hardy e un po’ Stan Loren…bhè…io rinuncio a capire dove sono, in che epoca ed in che dimensione, e rido. Rido perché gli attori sono perfetti nei loro ruoli, divertentissimi e divertiti; perché Limpo più che un pinguino è un “suppergiù-giùdilì-cosasei-tuttounpò” (e perché il mio vicino, basso e colorato come tutti gli altri, si è alzato dando del maledetto al gabbiano che ha rubato i soldi a Limpo). E mi commuovo, perché un pinguino che riabbraccia la mamma ed il papà fa piangere, sempre, e lucean le stelle anche. La bellezza di questa favola in scena è proprio qui, nel riso e nel pianto, nella partecipazione e nell’immedesimazione intense che fa vivere, a tutto il pubblico, a chi è basso e colorato, a chi è un po’ più alto e serioso.
Tante urla, strepiti, lacrime e risate finali in platea. Di gioia.

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