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venerdì 8 febbraio 2008

ASCOLTAMI BENE

Amsterdam 9 marzo 1941, quando il burro era una prelibatezza, la scrittura una cura ed un rifugio da molti mali del vivere, il nazismo un rumore di fondo, di pianto e stridore di denti. Nel più bel posto del mondo, dietro al sua scrivania, sedeva Etty Hillesum, una giovane donna, ebrea, scrittrice. Traduceva Dostoevskij e Rilke, scappando dal deserto dei suoi padri, dallo struggimento di quei giorni, spinta dall’urgenza di dire: Ascoltami Bene, diceva Etty Hillesum, a sé stessa per prima.
Mascia Musy ha interpretato le molte voci di Etty, Emanuela Giordano ha ricreato intorno a lei le luci e le ombre dei giorni terribili, raccontati nel suo diario ed in alcune sue lettere, Eleni Karaindrou e Giovanna Famulari ne hanno accompagnato e suonato i mutamenti. Ascoltami Bene, andato in scena il 19 ed il 20 novembre scorsi al Teatro Due, è un monologo tutto femminile, perché realizzato da donne, perché tratto dagli scritti e dalla biografia di una donna, perché canta la voracità, la passione, il sacrificio. Un impeto che ci si sarebbe aspettati più sostenuto e più penetrante, libero e liberatorio, considerata la fisicità e la carnalità delle parole di Etty.
Da dietro la sua amata scrivania, da una tinozza, dallo spazio accennato di 500 metri quadrati, in cui è stata rinchiusa con la sua gente, da una sedia in proscenio, la Musy dà corpo alle parole di Etty, stringendo il suo diario tra le mani; la Giordano illumina ed oscura lo spazio dei suoi movimenti e delle sue espressioni, in una dimensione di ricordo ma di netta e tagliente realtà. Dentro Etty lottano voci dai toni diversi, che vogliono scavalcare il filo spinato intorno al suo ghetto, uscire, o entrare, dipende dai punti di vista. Serena e disarmante, una accetta l’odio come una malattia incurabile, il male come una necessità, ma prende posizione; un’altra, dirompente e forte, sceglie di consegnarsi volontariamente all’odio, per condividere col proprio popolo e la propria famiglia le sofferenze più estreme; una singhiozza e non può nascondere i cedimenti dell’anima; una grida di rabbia ed incredulità, per la paura di vivere e per l’Amore che la fa vivere. Tutte ne incarnano la straordinaria e commovente intimità.
Nel campo di smistamento di Westerbork, dove una bimba a nove mesi è un caso penale, uno dei non-luoghi dove la Storia ha messo in ginocchio l’Uomo, Etty ha vissuto la sua condizione di vittima fino in fondo, è andata incontro alla morte con l’entusiasmo di chi ha scelto, non di un prescelto. Il 7 settembre 1943, sul vagone merci che la conduceva insieme a milioni di altri miserabili verso lo sterminio, disse Arrivederci e grazie e si mise a cantare.

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