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domenica 30 marzo 2008

SANTE RISATE

TITOLO: Dora Pronobis
CON: Antonella Questa
REGIA: Virginia Martini
DRAMMATURGIA: Antonella Questa e Virginia Martini
MOVIMENTI: Antonio Bertusi
ASSISTENTE ALLA REGIA: Sabine Bordigoni
SPAZIO SCENICO: Virginia Martini, Antonio Bertusi e R. Del Prete
IN COLLABORAZIONE CON Blanca Teatro
PRODUZIONE: La Q - Prod
GRADIMENTO: 3 stelle ***

Una giornata senza una risata è una giornata sprecata. Gli Assessorati alla Cultura ed alle Pari Opportunità del Comune di Collecchio la vedono così la vita. E si direbbe la vivano così, organizzando da quattro anni Consonanza di Voci, rassegna di teatro comico al Teatro alla Corte di Giarola, in collaborazione con Progetti&Teatro. Un omaggio ai cittadini, l’opportunità di incontrare chi dell’umorismo ha fatto la propria arte scenica, una condizione esistenziale. Ad esercitare per prima il diritto ed il dovere di risata è stata la toscana Antonella Questa, con il suo riuscito, cattolicissimo alter-ego Dora Ricci. Dora Pronobis è un monologo votato alla santità, bigotto e surreale come solo certe perpetue frustrate riescono ad essere, cinico ed intelligente grazie alla riflessione affatto scontata sul ruolo delle donne nella chiesa cattolica. La tessitura drammaturgica intreccia il serio ed il faceto, il paradosso scenico con quello reale, facendo emergere la dimensione comica, la contraddizione e perciò l’umorismo che si celano dietro alcuni dogmi e canoni ecclesiastici. Principi e regole che scandiscono le vite dei fedeli, avendo una funzione di controllo sociale più che di indirizzo spirituale. La vita della giovane aspirante chirichetta Dora, i divertenti episodi della sua adolescenza, gli scontri con il parroco, il suo lavoro a Radio Pagnana Fedele, il suo amore non ricambiato per Pino, la sua vocazione al vescovato sono inframmezzati da parti delle encicliche redatte dagli ultimi due papi. Con leggerezza ed ironia, battute caustiche ma dosate. Si ride con Dora, non solo quando viene posseduta dall’Anticristo che le fa ballare la lapdance, ma soprattutto quando la beghina, immersa fino al colletto amidato nel personaggio, confessa i suoi pensieri di pseudo tolleranza o impartisce lezioni di para educazione sessuale ai suoi fedeli ascoltatori. Ed il pube (de oro) acquista nuova dignità linguistica, così come il punto g(iovani) e l’auto-erotismo come pratica sessuale da macchina. Sfruttando a pieno i timbri vocali, le inflessioni dialettali ed una capacità interpretativa notevoli, occupando con un po’ meno agilità la scena ed i suoi arredi, mantenendo un ritmo comico quasi sempre sostenuto, il lavoro sul personaggio compiuto dalla Questa ha trovato un modo efficace di colpire il sistema, dall’interno.

INTERVISTE IMPOSSIBILI DAGLI ESITI OMISSIBILI

Strane storie quelle di Casanova, Francesca Da Polenta, l’Uomo di Neanderthal, Oscar Wilde, Freud. Strane storie portate in scena e musicate da alcuni artisti parmigiani al Teatro del Tempo, preziosa realtà cittadina in cui le arti sceniche trovano uno spazio raccolto ed intimo di commistione. Un piccolo alambicco per esperimenti, pozioni alchemiche dagli esiti sconosciuti. Fra percussioni, pianoforte, canto e recitativo, le Interviste impossibili di 30 anni fa, storico programma radiofonico della Rai scritto da intellettuali come Eco, Calvino e Sanguineti, a cui presero attori del calibro di Carmelo Bene, sono ritornate “in onda” dirette da Paolo Rossini ed interpretate alternativamente nei ruoli di intervistati ed intervistatori da Cristiano Bonassera, Rocco Antonio Buccarello, Nicola Di Ricco, Davide Robuschi e Natalia Vaccari. Duetti surreali ed ironici in cui lo speaker fuori scena ha dialogato e schermagliato con un celebre personaggio del passato, emerso dai secoli attraverso una cornice temporale, un’antica porta che apre su altre, impossibili appunto, dimensioni. Gli intermezzi musicali, di fascino ed atmosfera grazie alle composizioni originali del Maestro Luca Gavazzi, accompagnato dal ritmo di Flavio Spotti, sono stati impreziositi dalla lucida voce di Letizia Brugnoli, intensa interprete di due canzoni scritte dal Maestro Marco Caronna. In tempi in cui chi fa radio cerca di portarla in tv e chi fa tv vorrebbe portarla in radio, anche il teatro si presta, ad accogliere sperimentazioni tra linguaggi mediatici diversi, scritture sceniche e generi versatili. In questi mesi le Interviste Impossibili Live saliranno anche sul palco dell'Auditorium Parco della Musica di Roma, con la regia di Gabriele Vacis, interpretate da voci d’eccezione come Emma Dante, Alessandro Baricco, Piergiorgio Oddifreddi.

giovedì 13 marzo 2008

QUATTRO RISATE NON SI NEGANO A NESSUNO

TITOLO: Il bipede barcollante
SCRITTO DA: Paolo Hendel;
CON LA COLLABORAZIONE DI: Piero Metelli e Sergio Staino
PRODUZIONE: Agidi S.r.l.
GRADIMENTO: 3 stelle ***

L’etologo Desmond Morris negli anni ’70 considerava l’uomo una “scimmia nuda”, evidenziando i tratti animaleschi che millenni di evoluzione culturale e di epilazione naturale non sono riusciti a cancellare. Paolo Hendel, comico toscano ospite della stagione del Teatro Magnani di Fidenza lo scorso mercoledì con il suo ultimo one-man-show, cavalca l’onda darwiniana e osserva l’animale uomo da una prospettiva un po’ inedita: dall’inpiedi. Partendo dalla definizione di “bipede barcollante”, Hendel dispiega in scena, con la sola forza immaginativa delle parole e con i suoi modi da guitto, una fantasiosa ricostruzione della preistoria del genere umano, accompagnato dalle note elettriche di Giorgio Vicini. Di quando ancora si procedeva carponi su quattro appoggi; di quando ancora non si era scatenata quella variabile impazzita nell’evoluzione che avrebbe condotto la scimmia verso la posizione eretta e poi verso quella dell’Homo Semipiegatus (di cui un noto giornalista televisivo Rai è un rappresentativo esemplare). Se la prende con tutti Hendel, sbeffeggiando i potenti, i politici italiani immortali, quelli presenti e quelli futuri, sempre gli stessi anche nel 3010 (dinastie regali si direbbe); mettendo in discussione ed in ridicolo i loro assurdi comportamenti e deridendo anche quelli dell’uomo della strada, barcollante sui suoi due miseri piedi, indifeso, lento, pauroso e per ciò aggressivo. La comicità di Hendel ha la forza del quotidiano, degli sciocchi tic ed atteggiamenti che tutti condividiamo, dall’ipocondria diffusa all’imbarazzo per le proprie necessità corporali o mediche, dall’odio per l’autovelox a quello per lo strumento infernale per eccellenza, la sveglia. Lo spettacolo vola via, leggero e divertente, pagando però un prezzo televisivo non indifferente, scarnificando la dimensione teatrale e sacrificando in parte il rapporto con il pubblico. Un pubblico che c’è, non è un dato auditel: è presente, disponibile a farsi prendere in giro e soprattutto abbastanza disgustato dai modi e dalle persone della politica italiana da riuscire ancora, dopo decenni, a ridere dell’altezza di Berlusconi e della linea di Ferrara. Quando neanche la mascolinità della De Filippi farà più sorridere la platea, allora sapremo che è finita.

mercoledì 12 marzo 2008

IMPERDIBILI CONTORSIONI MUSICALI

Dall’11 al 13 aprile 2008 - TEATRO DUE (PR)
Compagnia Zimmermann & de Perrot (Svizzera)
in coproduzione con Théậtre Vidy-Lausanne E.T.E.- Le Merlan, Scène Nationale à Marseille -Theater Chur - Association Zimmermann & de Pierrot
e PiùFestival – Brescia
con il sostegno di Pro Helvetia - Fondation Suisse pour la Culture, Ville de Zürich, Canton de Zürich, Puor-cent Culturel Zürich, Fondation Sophie et Karl Binding, Ernst Göhner Stiftung, SSA-Société Suisse des Auteurs e Fondation BNP Paribas
Gaff Aff
di e con Martin Zimmermann e Dimitri de Perrot
scene Martin Zimmermann e Dimitri de Perrot
composizione musicale Dimitri de Perrot
coreografia Martin Zimmermann
luci e direzione di scena Ursula Degen
suono ed elettronica Andy Neresheimer
fonica Felix Laemmli
costruzione della scenografia Pius Aellig, Jean-Marc Gaillard
ricerca degli imballaggi Claude Gloor
collaborazioni artistiche e drammaturgiche Aurélien Bory, Arnaud Clavet, Goury, Aline Muheim, Lex Trüb, Jlien Dütschler
regia Martin Zimmermann e Dimitri de Perrot
www.zimmermanndeperrot.com

Un musicista ed un mimo. Suono e movimento, musica e gesti. Insieme a costruire un “legame organico fra il lavoro gestuale e la ricerca musicale in un’opera che riesce a mettere in rilievo l’alienazione del mondo del lavoro, a sorprendere e toccare lo spettatore”. Questa la motivazione con cui lo scorso settembre il duo artistico Martin Zimmermann - Dimitri de Perrot ha ottenuto il premio MIMOS 2007 al festival internazionale di Périgueux. Svizzeri, partecipi del movimento nord europeo artistico che coniuga musica, nuovo circo, arti plastiche e coreografia, co-prodotti da importanti realtà francesi e svizzere, Zimmerman e de Pierrot nel loro ultimo lavoro Gaff Aff creano un gioco scenico originale e coinvolgente che sorprenderà il pubblico, dai sette anni in su. Pius Aellig e Jean-Marc Gaillard, maghi delle costruzioni di carta, hanno creato per l’occasione un universo parallelo, in cui le scenografie di cartone si animano con un gesto, con la pressione di un pollice, in cui la scena è un giradischi gigante, che trascina con sè le alienate esistenze degli uomini. Un mondo veloce ed instabile, un meccanismo poetico e musicale, virtuosistico ed umoristico. in cui un moderno Buster Keaton cerca la propria stabilità fra imballaggi e suoni elettronici. Attaccato al suo lavoro, alla sua casa, al suo ufficio, il protagonista tenta in ogni modo di lottare contro la precarietà, il perenne essere in bilico: acrobazie ed equilibrismi, contorsioni che per Martin Zimmerman, artista di circo, e per Dimitri de Perrot, DJ e musicista teatrale-cinematografico, sono quotidiane cifre dell’esistenza. In questo cartonato e frenetico circo, metafora dei fuggevoli tempi moderni, che schiaccia nel suo ingranaggio le esistenze dei poveri uomini che vi prendono loro malgrado parte, la musica ed i suoni determinano le azioni e le contro azioni, fino all’inversione dei ruoli. Coreografia e musica si integrano in un unico flusso creativo, generando il mondo interiore del protagonista, regolando l’ambiente in cui egli si muove. Un corpo in balia della scena e del suono… sempre sul punto di crollare, di cadere nella malinconia e nella frustrazione. Ma basta un gesto, un giro rapido, un veloce cambio di forma per risollevarsi, per portare il tono sulle note leggere e comiche della parodia, della poesia scenica clownesca. Il messaggio, l’orizzonte di senso a cui la performance rimanda è sostanzioso: l’alienazione prodotta da questa società standardizzata, fatta di pseudo-strumenti di modernità, schermi piatti, cellulari, computers, catene della nostra contemporanea schiavitù, ci schiaccia e ci trascina. Il concetto è serio ma il tono è leggero, perché nella società dei consumi, dove tutto è usa e getta, precario, anche la tristezza è di cartone e lascia il tempo che trova.

PRODOTTI DEL NORD EST

ARTICOLO PUBBLICATO SUL NUMERO DI APRILE DE IL MUCCHIO SELVAGGIO

MADE IN ITALY
testo Valeria Raimondi e Enrico Castellani
cura Valeria Raimondi
parole Enrico Castellani
interpreti Valeria Raimondi e Enrico Castellani
scene/luci luci e audio Marco Spagnoli e Luca Scotton - scene Gianni Volpe
e...costumi Franca Piccoli - movimenti di scena Giovanni Marocco Spagnoli e Ilaria Dalle Donne
produzione Babilonia Teatri/Operaestate Festival Veneto
spettacolo vincitore del Premio Scenario 2007

Babilonia Teatri è
per un teatro pop
per un teatro rock
per un teatro punk
(dal loro sito web)

Adamo ed Eva in accappatoio e scarpette argentate, sotto un albero al neon ed una mela rossa iridescente, guardano il pubblico contemporaneo dalla loro scarna scena contemporanea. Il tecnico luci, di lato, a vista, maneggia fari e funi, contribuendo al generale senso di straniamento che lo spettacolo ha evidentemente deciso di percorrere. Un grido, un rapidissimo sguardo sulle loro nudità e poi tutto ha inizio. Partoriranno con dolore, lavoreranno e sapranno cos’è il bene e cos’è il male, dovranno vestirsi. Loro, noi, i veronesi, i veneti, gli italiani. Made in Italy squarcia così il velo della conoscenza e della coscienza di noi cittadini-spettatori. Una pièce in qualche modo incentrata sulla verità e sulla condizione umana, vincitrice di Premio Scenario 2007 lo scorso luglio, ora impegnata in una lunga tourné che tocca i più importanti teatri italiani. “…Un ritratto spietato delle "sacrosante" manifestazioni del tifo calcistico e delle telecronache enfatiche e patriottarde, normalmente rese impercettibili dalla generale assuefazione. Un lavoro dove si infrangono con sagacia e leggerezza tabù e divieti, per rilanciare anche il teatro oltre gli schemi e i conformismi”, come recita la motivazione della giuria che li ha eletti vincitori fra i giovani gruppi della ricerca teatrale. Un affresco composito, fatto di quadri che si avvicendano in rapida successione, in cui le parole si accumulano, si accatastano in scena, si stratificano e lentamente perdono di significato, di senso. Seguendo, ed in qualche modo denunciando, quel processo di banalizzazione che subiscono molte delle espressioni, dei concetti, delle opinioni che la gente esterna, anche le più gravi: una bestemmia ha il peso di una bestemmia certo, ma una bestemmia ripetuta mille volte come intercalare perde la sua carica di negatività, di blasfemia; un insulto ed un vilipendio alla dignità di un immigrato o di uno straniero pesa sulla coscienza di chi lo pronuncia e di chi lo ascolta, ma si fa leggero, comico, grottesco se ripetuto tra una pizza e l’altra, centinaia di volte. In un gioco scenico cinico, ironico, a tratti doloroso, che smaschera quel drammatico meccanismo sociale e culturale per il quale ci si abitua a tutto in Italia, basta poterlo ripetere abbastanza a lungo perché sembri normale. Perdono la loro originaria efficacia le parole di Made in Italy, si confondo nel caotico, surreale elenco di espressioni, allitterazioni, concatenazioni, per poi acquistare una nuova rilevanza, una nuova forza eversiva. Da questo pieno, zeppo di buffi riferimenti trash e duri commenti dell’uomo della strada, emerge un vuoto che ha un volume più alto delle voci che in scena, in perfetta coordinazione e sincronia, urlano e graffiano. Non c’è mimesi, non c’è immedesimazione: i due personaggi sul palcoscenico, Valeria Raimondi e Enrico Castellani (anche creatori dello spettacolo), divengo ad ogni quadro un’icona, un simbolo, non interpretando alcun ruolo ma facendosi di volta in volta veicolo dei ruoli altrui, pescati nella bottega sotto casa, nel bar all’angolo. Con voci atoniche, cantilenate, riportano sulla scena, quasi vomitandoli, i pensieri della gente comune, che in veneto, come in molte regioni italiane, usa il dialetto per esprimersi, specie a riguardo di donne, sghei (soldi) e marocchini. Molti i riferimenti cattolici, religiosi, specchio di una società, quella del nord-est, lontana dalla laicità ma vicina agli estremismi nazionalistici ed ai campanilismi biechi. Molti gli ambiti toccati, dal razzismo, alla società mediatica e ottusa, alla morfina calcistica, alla spettacolarizzazione della morte. Così ad esempio un funerale illustre, celebrato poco tempo fa a Modena, diviene l’occasione per commentare in silenzio, ascoltando le registrazioni dei cronisti RAI, la paradossale dimensione in cui siamo perennemente immersi. Basta compiere un minimo, lieve gesto di astrazione, di distacco e subito emergono le degenerazioni della nostra cultura e della nostra società. Una colonna sonora accattivante, che ha toni pop-trash, trascina e diverte, contribuendo al generale senso di amarezza e comicità dello spettacolo, coronato da un finale in cui sono protagonisti muti ed attoniti Biancaneve ed i suoi fidati nani da giardino. Le date di aprile: il 4 alle ore 21 a Finale Emilia, Festival Avant Gare; il 5 alle ore 21 a Parma, Teatro delle Bricole; il 12 alle ore 21 a Como, Teatro Sociale; il 24 in orario da definire a Rimini – info@babiloniateatri.it

LATELLA LE DONNE LE CAPISCE

ARTICOLO PUBBLICATO SUL NUMERO DI APRILE 08 DE IL MUCCHIO SELVAGGIO

Titolo: Le lacrime amare di Petra Von Kant
Autore: Rainer Werner Fassbinder
Regia: Antonio Latella
Compagnia/Produzione: Teatro Stabile dell’Umbria e Teatro Stabile di Torino
Cast: Con Laura Marinoni, Silvia Ajelli, Cinzia Spanò, Sabrina Jorio, Stefania Troise, Barbara Schroer, gli animatori d'ombre Massimo Arbarello e Sebastiano Di Bella - - scene e costumi di Annelise Zaccheria; disegno luci di Giorgio Cervesi Ripa; suono di Franco Visioli

Avendo ancora davanti agli occhi l’ancestrale, animalesca, potentissima femminilità della Medea con cui Antonio Latella, regista italiano leader della ricerca contemporanea, ha ottenuto il prestigioso Premio Ubu 2007 come Miglior Spettacolo, l’enorme statua nuda che campeggia al centro del palcoscenico del suo Le lacrime amare di Petra Von Kant acquista ancora più forza scenica. Come se i due lavori, molto vicini nel tempo di realizzazione, partecipassero non solo della stessa tematica, il femminile tragico, ma anche dello stesso corpo di donna, prima o dopo Cristo sempre fatto di carne, seni, lacrime. In questa sua fatica teatrale, già da due anni in tournè con un grande successo di pubblico e critica, il regista napoletano umbro d’adozione ha di nuovo spogliato il femminino, messo a nudo le sue relazioni e la sua identità, liberandolo dai vezzi e dalle crinoline sociali e culturali, facendo emergere le complicazioni economiche, di classe, di status implicate in ogni rapporto. E lo ha fatto grazie ad un soggetto creato più di vent’anni fa dal genio tormentato di Fassbinder, cineasta tedesco che fece dell’omosessualità e dei rapporti amorosi in contesti capitalisti la tematica più ricorrente dei suoi capolavori. Tutto inizia, si diceva, con la scena aperta in cui campeggia al centro la mastodontica e realistica riproduzione di Karin, l’oggetto del desiderio frustrato di Petra Von Kant, nuda, ieratica come solo certe statue doriche di divinità olimpiche riescono ad essere. Ai suoi piedi si snoda la storia, si intrecciano i destini, si ingarbugliano le relazioni fra cinque donne, in una dolorosa escalation di isteria e solitudine. Tra il bianco ed il nero dei minimali costumi di scena, a segnare di volta in volta lo stato di un personaggio, a ricordare ad ogni momento che non c’è spazio per i grigi, non c’è soluzione di colore intermedio in queste drammatiche relazioni tra amanti. L’algida e dura protagonista del dramma, Petra Von Kant, interpretata dalla straordinaria, sofisticata, dosata Laura Marinoni, è da poco uscita dall’ennesima delusione affettiva, dal secondo matrimonio fallito e cerca nella bella e giovane Karin, anch’essa priva di riferimenti maschili solidi nella propria vita, un appiglio, una speranza, un possesso. A costo di legarla a sé solo economicamente, Petra si spende per Karin fino alla follia, all’alcolismo, ottenendo in cambio solo poche e sfuggevoli parole di apprezzamento. Testimone muta, servizievole e palesemente adorante della drammatica e penosa situazione è Marlene, segretaria assistente di Petra, oggetto di vessazioni e occhiate furtive. Sullo sfondo del dramma le ombre dei protagonisti, di figure stilizzate, di oggetti, creati con un mirabile effetto visivo da Massimo Arbarello e Sebastiano Di Bella. Le altre figure femminili sono iconografie, simboli di ruoli che ruotano attorno alla vita di Petra senza poterla veramente penetrare: la figlia è una bambola meccanica parlante di cui Petra non si è mai curata, cresciuta in collegio, trascurata, un giocattolo che non diverte più, che non fa più le bolle di un tempo ma si permette di dire frasi sensate; la madre è un belletto, una ciglia finta, una piuma, la summa della bellezza invecchiata e aggrappata con le unghie finte agli splendori di un tempo; l’amica è un pretesto, un personaggio borghese e appiattito, una donna media che non vede al di là della tesa del suo ampio e bianco copricapo. Eppure c’è in loro un barlume di affetto, che Petra acceccata dall’ossessione per Karin non riesce a scorgere. L’ingombrante femminilità di Karin nella vita di Petra ed in scena (la statua occupa in altezza e in larghezza buona parte dello spazio scenico) è però destinata a finire, smantellata e fatta a pezzi dalla stessa Marlene: cala il fondale e si svelano le quinte e con esse molti dei dolori profondi di una donna come Petra; si corica la statua e la si smembra pezzo a pezzo, cercando di disinnescare il tormento, di smantellarne la forza. L’unica possibile conclusione è il pianto, l’abbandono al dolore: piange Petra rimasta sola; piange Marlene a cui finalmente l’amata si rivolge; piange il fondale, dove piccole figurine stilizzate si bagnano delle lacrime amare di Petra Von Kant.

sabato 8 marzo 2008

TRUNCH : THEATRE AND BRUNCH AL TEATRO DUE

C’è aria di primavera ormai, timida, tiepida e luminosa. Ed il Teatro Due anche quest’anno le apre porte e finestre, la fa salire con il numeroso pubblico al secondo piano e la invita a celebrare un felice rito domenicale che si ripete da qualche tempo con gusto scenico e spirito conviviale. Sono ricominiciati con successo i brunch del mezzogiorno (La domenica a Teatro Due - A colazione con gli autori dell’800 e del ‘900), appuntamenti festivi che combinano letture elevate, interpretazioni attente ed una colazione all’inglese, tardiva ma sostanziosa. Il primo appuntamento della serie, Prigionieri delle parole, è stato dedicato al genio gotico ed orrorifico di Edgar Allan Poe in una combinazione di tre celebri ed inquietanti racconti, accompagnati dalle proiezioni delle versioni cinematografiche ed interpretati con intensità da Ilenia Caleo, Mariano Pirrello, Tania Rocchetta e Lino Guanciale. La cura scenica di Claudio Longhi, acuto e leggero nel dare un tocco corale all’evento, ha disposto il pubblico intorno ai leggii ed ad un antico pianoforte, creando un ambiente raccolto ed antico, oscurando lo spazio e sfruttandolo a pieno. “Ascolta”, hanno ripetuto le voci di Poe, usando parole che “si conficcano nella testa come su un puntaspilli”, sinestetiche nella loro capacità evocativa. Fino a che gli sguardi sardonici e magnetici, i moti di spirito ed i tremori hanno lasciato il posto ad un collettivo sorriso, intrattenibile con le note di Cuore matto. Piacevole “conclusione a buffet”: mangiando, bevendo, chiacchierando con i protagonisti e scambiandosi pensieri si gusta anche la leggera primavera teatrale e si assapora la sua forza sociale, intellettuale.

SILVANI SI NASCE

TITOLO: Signorina Silvani … SIGNORA, prego!!
DI: Anna Mazzamauro
CON: Anna Mazzamauro, Pino Caronia, Stefano Di Sturco, Domenico De Santi
REGIA: Pino Strabioli
SCENE: Giulia De Mari
COSTUMI: Antonio Ventura
MUSICHE ORIGINALI: Pino Caronia
PRODUZIONE: Ercole Palmieri
GRADIMENTO: 3 stelle ***

“La bruttezza ha un vantaggio sulla bellezza: dura”. Si condensa così, in un’efficace e tagliente battuta, tutta l’autoironia, la comicità e la forza di un’attrice, Anna Mazzamauro, e del suo più celebre personaggio, la Signorina Silvani. Nell’applaudito e divertente Signorina Silvani … SIGNORA, prego!!, la Mazzamauro ha creato con Strabioli un coinvolgente e straniante gioco di specchi pirandelliano, in cui la vita della maschera s’intreccia con quella dell’interprete, le qualità e i difetti dell’una si sovrappongono a quelli dell’altra, i piani del reale e della finzione scenica si confondono fino a sparire. Un recital che con sincera e sboccata romanità attraversa la vita della donna dei sogni del Ragioner Fantozzi e inevitabilmente offre al pubblico anche i ricordi, i pensieri, gli episodi della carriera della Mazzamauro. Parlando del corpo, dell’estetica, del tempo che passa, della morte, dell’amore; ridendo di gusto e commuovendosi un pochino, con la leggerezza e la caustica verve che hanno permesso all’attrice di sopravvivere al “gioco al massacro” di sé stessa a cui spesso il suo personaggio l’ha obbligata a partecipare. Canta e danza la Mazzamauro, accompagnata in scena da tre musicisti che con lei interagiscono e muovono le poliedriche scenografie: arie conosciute ed altre originali le permettono di sfoggiare il proprio multiforme registro vocale, infondendo al monologo, forse a tratti un po’ dispersivo, lo slancio e l’intensità che certi passaggi comici lasciano scivolare via. In un’atmosfera poetica e retrò, che raccoglie le atmosfere anni ’70 del cinema di Luciano Salce e Neri Parenti, storici registi della saga fantozziana, la Signorina Silvani incontra uomini, s’imbelletta, prega… Non ha un nome di battesimo, lei, non ne ha mai avuto bisogno, ma è un personaggio a tutto tondo, capace di portare al successo la sua interprete, di donarle notorietà e persino di purificarla. La Silvani è la coscienza sporca della Mazzamauro, è “l’orrendezza” femminile che ci fa sentire bene, è il lato comico della malinconia, è il potere della risata sulla sfortuna… Voleva essere Rossella O’Hara la Mazzamauro, e invece… invece, Signorina Silvani si nasce, e lei modestamente la nacque.