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venerdì 8 febbraio 2008

ELETTRA SHOCK

Le nevrosi moderne, le passioni contemporanee hanno origini antiche. La poesia tragica greca n’è stata e n’è una delle espressioni più alte. Se il mito Edipico e le tragedie che lo vedono protagonista declinano gli archetipi fondamentali dell’animo maschile, specialmente nel complesso rapporto con la figura materna, il mito di Elettra rappresenta, da questo punto di vista, la sfera femminile ed il profondo legame con la paternità, la mascolinità in generale. Negli anni della nascita della psicanalisi, dell’Io moderno ed articolato, le cui profondità devono essere scandagliate nelle quotidiane difficoltà del vivere, nelle scienze umane come nel teatro si è scritto di Edipo e di Elettra e ne sono stati illuminati gli aspetti di continuità con il nuovo essere umano, emerso dalla rivoluzione borghese. Nel 1903 Hugo von Hofmannsthal ha composto il dramma ispirato all’Elettra di Sofocle e ne ha fatto emergere appunto gli elementi più moderni: una paura che diviene fobia, un odio che è rancore, un’amore che si fa passione, attaccamento, ossessione. Ora, passato un secolo di psicanalisi su tutti noi, si direbbe che i tempi siano maturi per affrontare tutto questo. Così oggi lo stesso testo portato in scena dal giovane regista napoletano Andrea de Rosa, conduce il pubblico dentro la reggia micenea, lo immerge nel tempo immobile dell’animo umano. Il tempo dell’inconscio. L’esperienza è pervasiva, la catarsi non è più panacea. La fobia torna ad essere terrore, il rancore una rabbia dirompente, l’ossessione la ragione di una vita. Una vita passata nell’attesa di una vendetta che non spetta ad Elettra, nell’attesa di un uomo, un padre, un fratello, Oreste, che la venga a salvare; ma il senso è scivolato via dalle azioni e nessun uomo, potente o meno, potrà più ristabilire un ordine, una giustizia, un equilibrio. Elettra, una produzione del Teatro Mercadante, lo Stabile di Napoli, in collaborazione con la Fondazione Teatro Stabile di Torino, ha debuttato lo scorso dicembre 2004 e segnerà una tappa della sua turnee al Teatro Due, dal 28 febbraio al 5 marzo, andrà poi a Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza, dal 7 al 12 marzo (prima passerà da Modena, Teatro delle Passioni, dal 4 al 12 febbraio). Il numero di spettatori è limitato, in ragione di un allestimento e di una regia sul suono eccezionali, che sono valse al loro ideatore, Hubert Westkemper, il Premio Girulà 2005, per la miglior ripresa del suono, il Premio A.N.C.T. dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro ed il Premio Speciale Ubu 2005. Il lavoro di ricerca compiuto sul suono ha portato Westkemper a realizzare uno spettacolo del suono, in cui il pubblico assiste dal vivo alla tragedia pur indossando delle cuffie stereofoniche. Nelle orecchie degli spettatori arriva diretto, intenso ed incredibilmente vivo il suono della scena, ripreso con una tecnica detta “olofonica”. Ci si ritrova dentro l’azione, dentro le stanze e gli spazi reconditi della reggia e dell’animo dei personaggi. Non si ascolta raccontare un dramma, perché non è più possibile farlo. Se ne esperiscono i cigoli, gli squassi e i passi, si sentono risuonare dentro i sospiri, i lamenti e le grida. Abbandono del lettino, viaggio sonoro nell’inconscio, che ha tutta l’aria di essere terribilmente reale. In cuffia arrivano le voci e tutti i suoni dei movimenti, degli ambienti percorsi, dei sottofondi, degli spazi ancora più lontani. In una dilatazione e una concentrazione che portano il senso uditivo a viaggiare dalla dimensione più intima a quella più manifesta. Se all’udito è riservato il privilegio di sentire lo spazio, alla vista viene ineluttabilmente sottratto il suo primato. Una vasta vetrata tra il palco ed il pubblico si pone come un diaframma tra la vista e la completa esperienza delle azioni e dei comportamenti umani. Nelle scene di Raffaele di Florio i personaggi si specchiano, ma ciò che ritorna loro sono solo immagini deformate; la superficie ormai ha perso corrispondenza con la realtà. La ricerca dell’originale equilibrio, della giustizia dei primordi, il desiderio di ricostituire un ordine irreparabilmente corrotto, porta i personaggi a sforzare la vista, ad avvicinarsi al vetro. Ma ancora ritorna loro solo dolore, frustrazione, per l’immagine persa e per la sua incomunicabilità. L’interpretazione dei quattro attori, Frederique Lolite, Maria Grazia Mandruzzato, Moira Grassi, Gabriele Benedetti, negli eleganti costumi di Ursula Patzak, rende la partitura sonora carnale, fisica, corporea, erotica nonostante le cuffie, il vetro ed i 2500 anni di distanza dal mito. Al banale ossimoro di tradizione e modernità, classicismo ed avanguardia, che riempie la bocca degli artisti di una ricerca che ha più l’aspetto del marketing spicciolo, gli artisti di questa straordinaria produzione rispondono con un’inventiva, una passione ed una professionalità alte e gratificanti.

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