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sabato 2 febbraio 2008

PUNTI CARDINALI

20 OTTOBRE 07 - Il nord è una convenzione, è un punto cardinale, è la relatività di una posizione rispetto ad un’altra. Il Nord però è oggi anche e soprattutto una condizione. Una postazione, fortificata, da cui guardare il mondo e guardandolo crearlo. Roberto Latini, attore e regista romano che ha spesso portato a Parma le sue creazioni, nell’ultima produzione corale (Fortebraccio Teatro e Fondazione Pontedera Teatro, con Il Gruppo Libero San Martino di Bologna, che ha ospitato le repliche) ha scelto di piazzarsi decisamente a Nnord. E da lì ha tirato fuori, lanciato in aria, sparato tutto quello che del Nnord ha ritenuto essere l’essenza. Tra la familiarità e lo straneamento di una prospettiva a tutti noi congenita, Latini ha reso la scena una sorta di rullo luccicante su cui veder scorrere delle tavole di fumetti. Brevi quadri illustrati, ma solo in rare divertenti occasioni sfacciatamente comici, si susseguono in una composizione glitterata e vicina al sadomaso. Dal travestimento e dalla transgenericità, dall’eccitazione precoce di un qualunque capodanno in rosso, dal passaggio veloce di un qualunque manager con la valigetta, dal militare che si impartisce ordini schizofrenici, fino al tifo insensato e incomprensibile per una palla che è una visione: da tutte queste immagini emerge più che un pensiero, più che un messaggio, un’iconologia. Nnord è la rappresentazione di un inconscio e di un subconscio; Nnord è l’emersione di una condizione e come tale ha i caratteri metaforici, allegorici, traspositivi di un sogno, di un flusso di coscienza. Non c’è fabula e non c’è intreccio, non c’è quasi neanche parola, se non parodia della stessa, turpiloquio, lunga e fittizia ripetizione che perde di senso. C’è un vago senso di personaggio, ma in scena rimane si percepisce solo una figura a due dimensioni, stagliata su uno sfondo piatto e sintetico. Luci, costumi, musiche e tracce audio compongono con gli elementi in scena, con la loro coerente presenza, con i loro stilemi orchestrati, persino coreografati a volte, un unico quadro, mistico per certi versi (non solo per lo spaventapasseri crocifisso all’antenna tv). Con un vago presagio di qualcosa che sta per accadere o è accaduta; uno sgocciolamento di qualcosa che potrebbe cadere dall’alto, ancora più a nnord. Un lavoro coraggioso che sa di esserlo; lontano, molto lontano dalla voce profonda e dalla presenza intensa, dalle splendide parole scespiriane ansimate al microfono (anche se qualcosa di questo suo modo è rimasto) o dalla riproduzione virtuale a cui a lungo Latini si è dedicato. Lontano dai terreni sicuri e dalle scarpe comode, si cammina ora su tacchi a spillo con piume di struzzo, su tappetini di erba sintetica. E la stabilità a tratti cede, inciampando su una controscena in più o su un riferimento in più, incrinando un delicato equilibrio che si tiene sul filo sottile del ritmo scenico incalzante, fino all’affanno.

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