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venerdì 8 febbraio 2008

IL DRAMMA DELL'IRA

Cade il telo rosso che separa il pubblico dalla scena e si palesa d’improvviso lo spazio angusto e nudo che accoglie il dramma di Antigone, prima produzione delle cinque che compongono il progetto del Teatro Stabile di Torino, Fondazione Teatro Due, Teatro di Roma in cui sono impegnati un nucleo stabile d’attori, cinque registi e cinque traduttori. Una pietra vulcanica ruvida e grigia, ideata da Tiziano Santi, su cui posano e contro cui si stagliano le candide figure del dramma, abbigliate da Vera Marzot. Come se un’eruzione, d’odio più che di fuoco, di hybris più che di lava, avesse coperto la città di Tebe. Non c’è spazio per l’azione nella tragedia sofoclea diretta da Walter Le Moli ma solo per le sue nude, gelide e taglienti parole, nella cristallina traduzione di Massimo Cacciari. Il dramma si consuma fuori dalle mura, dove il corpo di Polinice giace senza sepoltura, per ordine del re Creonte, suo zio. In scena protagonista è l’ira, la rabbia, l’umana tracotanza, destino inesorabile della discendenza e della parentela edipica. L’ira di Antigone, una energica Paola De Crescenzo, donna dalla forza morale e dall’iniziativa maschile, che sfida a viso aperto e fronte alta il potere, che affronta le conseguenze delle sue azioni, la scelta di dare i dovuti onori funebri al fratello nonostante il decreto regale, con sguardo e tono fermo, raggelante. Quella del suo oppositore, Creonte, che Elia Schilton fa vibrare di rabbia e dolore per lo più inesplosi eppure laceranti; colorato nella recitazione come nel manto regale, la sua voce sempre di un tono basso, che in rari toccanti momenti si fa penetrante, acuta o lacrimosa. Lo scontro e la rabbia non risparmiano nessuno e mettono sorella contro sorella, figlio contro padre, moglie contro marito, città contro governo. La polis, impersonata dal coro, annunciato e accompagnato in scena da 4 musicisti, declama con forza i suoi versi, sospinti e sostenuti dalle musiche di Alessandro Nidi. Il corifeo, Francesco Rossini, interpella con parole e sguardi le figure, i personaggi silenziosamente al muro. E’ lui con le 4 figure maschili del coro ad essere il motore delle interazioni tra i personaggi. Infine l’intervento dell’indovino Tiresia (Giancarlo Ilari), guidato da una figura quasi non-umana anch’essa apparentemente priva della vista, che annuncia al re i presagi di morte e di sorte nefasta per la sua discendenza. “Un silenzio pesante più del vano gridare”, una tragedia che si compie così come era stata preannunciata: Creonte straziato dal dolore, privato di moglie ed ultimogenito, Antigone morta per la punizione inflittale da Creonte stesso. Entrambi vittime, di sé stessi e dell’altro; entrambe, la legge divina e la legge secolare, destinate al fallimento quando incancrenite nelle proprie ostinate posizioni, incapaci di accettare il confronto e la discussione.

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