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martedì 12 febbraio 2008

ARTEFATTI ARTIFICI MALEFICI MALEFATTE

Da quando dire cose sconnesse, senza un filo logico, sensa un senso, senza un orizzonte vago di significato è contemporaneo, illuminante, teatralmente interessante e importante? Da mai. Infatti non lo è. E i cinque pezzi facili di Martin Crimp scenicamente interpretati da Arcuri con gli attori dell'Accademia degli Artefatti sono un lampante e "luminoso" esempio di cosa un testo teatrale non riesca a fare pur volendolo, fortissimamente volendolo. E di come un attore, se pur bravo, possa farsi trascinare da un testo in una non interpretazione. Una lunga, interminabile, sequenza di tic e faccette. Non so voi, ma io quando sono in imbarazzo, perplessa, sconcertata o in attesa non scuoto la testa, mi gratto, mi muovo sulla sedia in continuazione. La non comunicazione, l'incomunicabilità sono terreno fertile se attraversano orizzonti inattesi, se portate al parossismo, al tragico o al comico, non se lasciatate macerare nelle ripetizione e nella sospensione. Uno spettacolo dove tutto rimane in luce, sempre, dove non si crea mai una zona d'ombra, di senso certo non di luogo, che potrebbe creare la fascinazione perseguita. Un spettacolo in cui quando c'è silenzio speri solo che uno dei 3 attori dica qualcosa e quando poi finalmente qualcuno attacca con la sua battutta speri solo che finisca presto e si ritorni al meritato silenzio. Peccato perchè la capacità interpretativa e la presenza di Arcuri e Croci avevano il loro fascino. Peccato perchè Angius aveva un bel ruolo tra i due. Peccato perchè i premi Ubu di solito sono abbastanza consistenti. Peccato.

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