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venerdì 8 febbraio 2008

MORTE E RESURREZIONE DELL'UOMO

A Francoforte, dal dicembre 1963 all’agosto 1965, si svolse uno dei processi per crimini contro l’umanità dei gerarchi nazisti, delle Ss e dei medici, che gestirono il campo di concentramento di Auschwitz. 183 giornate, 409 testimoni, di cui 248 sopravvissuti al lager, che i Russi liberarono nel gennaio 1945. Fra il pubblico che assistette al procedimento giudiziario sedeva Peter Weiss, che annotò le dichiarazioni dei partecipanti e compose, con le esatte parole pronunciate in aula, il “dramma-documetario” che intitolò Die Ermittlung, L’Istruttoria. Fra i diversi modi di comunicare l’orrore Weiss scelse la Verità. La più meschina, gelida, inconcepibile, irrimediabile, ineluttabile Verità. Dal trauma della verità, di quella sul Nazismo e sull’Olocausto del popolo ebreo, la Germania e l’Europa tutta non si sono mai più riprese. Neanche gli americani, neanche il Vaticano. Da allora viviamo nell’ossessione del ricordo, più per disperata ricerca di catarsi che per monito ai posteri. Da allora si susseguono tentativi, disperati quanto il loro oggetto, di rendere conto e giustizia di quanto accaduto. Come se eventi di tale portata “accadessero”. Come fosse stato un cataclisma naturale. La terra è stata squassata e non è mai più stata la stessa, ma ci furono dei responsabili, con nomi e misure precise per le loro divise. Qualunque celebrazione della memoria è sempre in parte un tentativo di auto-assoluzione. Non c’è vergogna in questo, è legittima ricerca di pace.
Dallo spettacolo con cui Gigi Dall’Aglio porta in scena questo dramma però non esce assolto nessuno, né i personaggi in scena né il pubblico; non si esce sollevati dalle colpe n’è dall’angoscia di quello a cui si è assistito. Si lascia la sala in silenzio, senza applaudire, senza lo sfogo liberatorio a cui siamo abituati. Si assiste attoniti, come fecero i nostri nonni, i nostri padri in quegli anni, con la stessa sensazione di impossibilità. E’ impossibile, lo si racconta ma è impossibile. Eppure non c’è più spazio per i dubbi. Non c’è spazio per la pietà, verso chi ha assistito e chi assiste ora, seduto, a tutto questo. Neanche verso gli attori, da subito privati della loro libertà e della loro intimità, come i personaggi che stanno per interpretare, vittime e carnefici: il pubblico è condotto nei loro camerini, li osserva prima della recita e viene immediatamente spinto dentro un percorso a spirale di violenza. La Divina Mimesis di Pasolini nell’aria.
L’Istruttoria, spettacolo storico della compagnia del Teatro Due, in scena tutti gli anni con regolare ed inquietante regolarità dal 1984, sarà anche quest’anno allestito nello Spazio Bignardi del teatro dal 31 gennaio al 18 febbraio, in prossimità della Giornata della Memoria (27 gennaio). Lo stesso regolare ed inquietante ritmo drammaturgico che Weiss scelse per scandire il suo dramma. Un’oratoria in 11 canti, uno per ogni tappa che i deportati erano costretti ad affrontare, dal loro prelevamento da casa alla morte nei forni crematori. Durata reale: 9 mesi, quanti un detenuto-operaio medio resisteva prima di soccombere. Una sorta di Sacra Rappresentazione della Pasqua, del martirio dei capri espiatori d’Europa, di Via Crucis aberrante, di viaggio dantesco in inferi emersi. Personaggi: il giudice, il difensore, l’accusatore, 18 accusati, 9 testimoni anonimi, ognuno che impersona più di un testimone reale. Molti oggetti, che tengono il pubblico il più ancorato possibile alla realtà, alla quotidiana verità in cui tutto accadde. Ma ancora è difficile credere. Il rito si ripete ogni anno al Teatro Due. Nel dramma stesso con la medesima ritualità si avvicendano i personaggi e come nelle cerimonie sacre si cerca una credulità, una fede, un’adesione nel pubblico. Il Teatro efficace e rituale usa tutti i suoi mezzi. La recitazione degli attori è impeccabile. Ma il rifiuto della realtà spesso è più forte.
C’è qualcosa nell’Istruttoria del Teatro della Crudeltà, nelle parole atroci pronunciate; dello straneamento brechtiano, nei cartelli che appaiono in scena; del documentario, nelle precise informazioni fornite su materiali e tecniche di morte e tortura; della Sacra rappresentazione e del Teatro Sacro medioevale, come si è detto; del circo romano, nel massacro paradossalmente spesso vissuto come gioco dai gerarchi. C’è la nostra Storia, teatrale e reale. C’è l’Uomo in scena. E non potremo mai accettarlo.

-il canto della banchina arrivo e discesa dai treni dei deportati per la selezione per chi muore e per chi lavora
- canto del lager campo in generale
- canto dell’altalena torture per i prigionieri
- il canto della possibilità di sopravvivere descrive impiccagioni e i meccanismi con cui alcuni prigionieri privilegiati procrastinavano la morte collaborando in qualche modo coi carnefici
- canto della fine di lili tofler racconta un caso individuale
- il canto del unterscharfuerer Stark descrive i crimini di questo militare particolarmente crudele
- il canto della parete nera si riferisce al muro contro cui venivano fucilati
- il canto del fenolo descrive gli esperimenti medici mortali e dolorosissimi effettutati contro i prigionieri e la morte inflitta a molti con iniezioni di fenolo
- il canto del bunkerblock descrive i canili dove venivano rinchiui fino alla morte per fame e per sete i prigionieri detenuti e punti per qualcosa
- il canto del cyclon b descrive le camere a gas
- il canto dei forni descrive la distruzione dei cadaveri

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