IL PRIMATE AMLETICO: IL TEATRO NAZIONALE PALESTINESE A INTEATRO

lunedì 28 aprile 2008

IL TEATRO NAZIONALE PALESTINESE A INTEATRO - POLVERIGI

ECCO CHI IN QUESTI GIORNI OCCUPA LA RIDENTE FORESTERIA VILLA NAPPI DI INTEATRO A POLVERIGI. PROTAGONISTA DEL FILM 'LA BANDA' OGGI NELLE SALE ITALIANE E GIA' PASSATO PER CANNES, SARà PRESTO IN UNA NUOVA PELLICOLA D'AUTORE PALESTINESE. NEL FRATTEMPO FA TRAINING CON GABRIELE VACIS AD ALTRI ATTORI PALESTINESI IN ATTESA DI TORNARE A GERUSALEMME EST E REALIZZARE CON LORO E 30 RAGAZZI UN AMLETO SPECIALE.
VISITANDO IL LINK QUI SOTTO SI RAGGIUNGE UN BLOG CON UN ARTICOLO INTERESSANTE A LUI DEDICATO...
http://lisagoldman.net/2008/02/22/prime-time-palestinians/

1 commento:

Anonimo ha detto...: Molto interessante !!Gentile Maria Giulia Guiducci sono Alessandro Fantechi di Isole Comprese Teatro www.isolecompreseteatro.it come faccio a leggere tutta la Tesi ?
isolecomprese@tin.it
grazie a presto !!; 8 maggio 2008 alle ore 07:30

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MARIAGIULIAGUIDUCCI SHORT PROFILE

Maria Giulia Guiducci è nata a Parma nel 1981. Si è laureata nel 2006 a pieni voti in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Bologna con una tesi in Semiologia dello Spettacolo e Neuroscienze.
Nel 2008 ha frequentato il corso Comunicazione e Marketing dello Spettacolo dal Vivo organizzato da ATER a Modena ed il corso Organizzare Teatro a Livello Internazionale alla Paolo Grassi di Milano. Nel 2009 il workshop per organizzatori internazionali del Mediterraneo MELOPEE di Amuni. Da 6 anni lavora attivamente nel settore teatrale, collaborando con diverse realtà ed in diversi ruoli.
Scrive, parla, organizza, immagina, assiste, critica, pratica e a volte rinnega il teatro dall’età di 14 anni, perché crede in una necessità biologica dello spettacolo dal vivo. Aspetta di avere una casa, un ufficio, una macchina e li sogna in Quebec. Per ora è a Parma.

LIFE RESOLUTIONS - OBBIETTIVI DI VITA (E GIROVITA)

AVERE I CAPELLI LUNGHI SENZA DOPPIEPUNTE
AVERE UN GIARDINO CON DENTRO UN CANE O AVERE UN CANE CON INTORNO UN GIARDINO
ARRIVARE IN RITARDO SORRIDENDO
TACERE
NON DOVER MAI PIù RIFARE IL LETTO
RIUSCIRE A DIRE 'PROGRAMMA' E NON 'PVOGVAMMA' COME ORA
IMPARARE AD ANDARE IN BICI SENZA MANI
AVERE UN'AMICA CARISSIMA SARTA
DIVENTARE ALLERGICA SUL SERIO AL CIOCCOLATO
AVER LETTO TUTTI I CLASSICI
AVERE UN NEO BELLO DA QUALCHE PARTE
AVERE SEMPRE UN BAR DI RIFERIMENTO
AVERE UNA CALLIGRAFIA LEGGIBILE
AVERE FIGLI MULTILINGUA (DALLA NASCITA..)
FARE IL BAGNO COI DELFINI
AVERE UN LETTO A BALDACCHINO

GUIDUCH COCKTAIL VERSION

DI ASPETTO AMICHEVOLE MA SPESSO SCHIAMAZZANTE, NON E' RARO INCONTRARE INDIVIDUI DI QUESTA SPECIE IN VERNISSAGE, APERITIVI, INAUGURAZIONI, FOYERS, FESTE, INIZIATIVE, TOMBOLATE E RIFFE. I PRIMATI AMLETICI NON SONO PERICOLOSI MA EMETTONO IN CONTINUAZIONE SGRADEVOLI SUONI TIPO nunsepoveddè,nunseposentì ...PROBABILMENTE CERCHERA' DI APPROCCIARVI, VOI LASCIATEVI ANNUSARE E VEDRETE CHE IL PRIMATE AMLETICO SVILUPPERA' IMMEDIATAMENTE UN RAPPORTO AMICHEVOLE E DI PROSSIMITA'. PER ALLONTANARLO O RIFIUTARLO BASTERA' SUONARE LA AIR GUITAR IN MODO VISTOSO INDOSSANDO SCARPETTE DA CALCIO E UTILIZZANDO LA FORMULA comunquecioèunpochettino

IL TEATRO NEL CERVELLO: Elementi per una Neurobiologia della Performance Teatrale

Tesi di Laurea in Semiologia dello Spettacolo
Corso di Laurea: Scienze della Comunicazione – V.O.
Facoltà: Lettere e Filosofia
Università degli studi di Bologna
Relatore Prof. Marco De Marinis
Correlatore Prof.ssa Roberata Lorenzetti

22 Marzo 2006 - Parafrasando il titolo di una recente pubblicazione di due neurofisiologi statunitensi (Newberg e D’Aquili, Dio nel Cervello, Mondadori, Milano, 2001), dedicata ai processi neurobiologici e fisiologici degli stati e delle esperienze trascendenti, mistiche e religiose, questa tesi si propone d’individuare ed analizzare le basi biologiche delle Arti Performative ed in particolare del Teatro. La domanda sul Dove della spettacolarità umana, sulle possibili strutture neuroanatomiche e sui processi neurofisiologici implicati tanto nella pratica attoriale come in quella spettatoriale, è strettamente correlata alle domande sul Come e sul Perché delle arti sceniche. Insieme esse portano la riflessione da un ambito prettamente scenologico ad un ambito scientifico-evolutivo, etologico ed antropologico. Se è possibile ipotizzare che certe strutture ed elementi siano direttamente responsabili delle azioni, degli stati e delle condizioni spettacolari, allora deve essere possibile spiegarne il funzionamento e soprattutto le ragioni per cui l’essere umano ne sia dotato ad un livello tale di complessità. Perché da quelle basi anatomiche e fisiologiche è nata la forma spettacolare teatrale, perché la sua persistenza e diffusione nelle culture di tutto il mondo? Perché nell’uomo e non in un altro animale? Quali necessità e funzionalità stanno dietro l’apparentemente semplice intrattenimento procurato dalle Arti Performative?
Nel cercare risposte adeguate a tali quesiti, si è fatto ricorso alle prospettive, agli strumenti metodologici e concettuali di diverse discipline. Le condizioni e le premesse teoriche per un approccio scientifico al problema sono state fornite dai Performance Studies e dalle riflessioni di Richard Schechner, dall’Antropologia Teatrale di Eugenio Barba, dagli studi di Victor Turner e da quelli dell’Etologia Umana. Il Biogenetic Structuralism, corrente scientifica in seno alla quale sono nati e si sono sviluppati gli studi di Newberg e D’Aquili, ha offerto poi un valido modello d’indagine transdisciplinare ed ha fornito una prima risposta alle tre domande iniziali. Alle pratiche rituali, a cui quelle teatrali sono in parte assimilabili, sono state attribuite ragioni sociali ed individuali: la coesione della comunità, lo sfogo delle tensioni interne, la coordinazione sociale. Le stesse motivazioni sono dunque riferibili agli eventi spettacolari teatrali. Gli stati mistici, trascendenti e religiosi sono stati spiegati attraverso la lateralizzazione cerebrale ed il suo funzionamento a corrente alternata: a certe condizioni di iper- o ipo- stimolazione ne viene alterato il normale funzionamento e si produce così un senso di unione, perdita di confini corporei, congiungimento con gli altri e con l’universo. La stessa condizione è frequentemente vissuta anche dagli spettatori e dagli attori di performance particolarmente efficaci ed intense.
L’Etnoscenologia di Jean Marie Pradier ha delineato più precisamente il campo d’indagine transdisciplinare in cui muoversi: esso deve comprendere tutte le arti sceniche ed estendersi a tutte le cosiddette Pratiche Performative Umane Organizzate; deve essere “statutariamente” non etnocentrico e riequilibrare la prospettiva sulle pratiche occidentali ed orientali negli studi scenologici; soprattutto deve essere indipendente, dedicato, per potervi delineare una Teoria Neurobiologica delle Arti Sceniche. Le ipotesi sviluppate da Jean Marie Pradier sui diversi processi percettivi, fisiologici, neurali che hanno luogo nei corpi in scena ed in quelli seduti platea, ha offerto ulteriori risposte alle domande d’avvio. L’Etnoscenologia ha così spianato la strada verso una Scenologia Generale, in cui tener e render conto di tutti gli ambiti spettacolari, di tutte le culture e di tutte le dimensioni d’analisi, anche e soprattutto di quelle etologica e neurobiologica.
Recenti studi di Neuroestetica, disciplina che si propone d’individuare i processi e le strutture neurali alla base della produzione e della percezione estetiche ed artistiche (specialmente per le arti visive), ha apportato all’indagine sulla performance teatrale nuove conoscenze sul sistema della visione integrata umana (Semir Zeki), sugli universali estetici (V.S. Ramachandran), elementi ricorrenti nella produzione artistica vicini ai principi etologici ed a quelli di Eugenio Barba, sui processi neurali e fisiologici della danza, basati sulla gratificazione ed il tradimento delle aspettative percettive rispetto al movimento eseguito in scena. Le specifiche modalità percettive umane hanno prodotto uno specifico senso estetico e specifici prodotti artistici. Il teatro e lo spettacolo sono fra essi e necessitano come le altre arti di studi particolari per trovarne i processi di significazione e comunicazione di base.
Un ulteriore supporto alla validità delle domande e delle risposte individuate è venuto dalla riflessione di William Beeman, professore alla Brown University di Providence e studioso degli aspetti evolutivi della performance. La sua Performance Hypotesis ha portato la riflessione sul perché e quella sul dove a congiungersi definitivamente: gli aspetti evolutivamente fondamentali nella performance sono da questo punto di vista i processi emotivi e la cosiddetta Teoria della Mente (TOM), la capacità che ha l’uomo, e solo lui, di leggere ed interpretare la mente dei suoi conspecifici. Emozioni e TOM avrebbero un ruolo essenziale nell’evoluzione filogenetica ed ontogenetica dell’uomo e sarebbero anche i due fattori fondamentali in azione nella spettacolarità umana; in essi risiede il perché, la funzione evolutiva, della performance teatrale.
Riguardo ai processi emotivi è Antonio Damasio ad offrirci la spiegazione del loro cruciale ruolo evolutivo. La sua teoria del Marcatore Somatico vede le emozioni come primi fattori decisionali nel comportamento umano; in tale processo mente e corpo sono inscindibili e la memoria fisica, corporea delle emozioni vissute condiziona fortemente la valutazione delle situazioni presenti e le conseguenti decisioni. E’ come se la mente ponesse un’etichetta corporea (fatta di sensazioni automatiche intense) a determinate situazioni, in modo da economizzare tempo ed energia quando in futuro si troverà a dover prendere decisioni alle stesse o simili condizioni.
La TOM spiega la possibilità d’esistenza dei processi empatici e cinestetici, di consonanza emotiva e fisica tra gli individui a determinate condizioni, ben esperibili a teatro. Ma ci offre un perché che ancora poco ci dice sul dove e sul come. Un’illuminazione completa del fenomeno ci viene da una scoperta scientifica degli ultimi anni: nel laboratorio di Neurofisiologia dell’Università di Parma, prima su scimmie e poi su esseri umani, il Prof. Rizzolatti ed il Prof. Gallese con il loro staff di ricercatori hanno scoperto nell’encefalo umano la presenza di speciali neuroni che hanno chiamato Mirror Neurons (neuroni specchio). Essi sono neuroni sensori-motori presenti nell’area premotoria F5 (una parte della corteccia ventrale premotoria), e non solo, che si attivano tanto durante la percezione visiva di un’azione quanto durante la sua diretta esecuzione. Un agente che compia un’azione transitiva stimola nell’osservatore l’attivazione dello stesso circuito neurale che si attiverebbe nell’eseguire quella stessa azione personalmente. Si tratta di un processo automatico denominato Simulazione Incarnata, che gli studiosi ipotizzano essere alla base della comprensione dei comportamenti altrui. Il Sistema Mirror di ricreazione interna dell’azione è stato poi dimostrato attivarsi non solo attraverso la vista, ma anche attraverso tatto ed udito; e non solo in conseguenza d’azioni transitive ma anche d’azioni intransitive, comunicative (tra cui l’espressione delle emozioni, in particolare il disgusto).
Si sono cercate possibili declinazioni pratiche dei processi biologici individuati in scena, possibili elaborazioni metodologiche nel lavoro attoriale che tenessero conto della dimensione biologica del performer. Il BSO Method sviluppato negli anni ’80 in sud America dalla psicologa Susana Bloch, è stato incentrato sulla ricreazione delle emozioni in scena tramite l’esecuzione d’effettori fisici, le componenti corporee della manifestazione degli stati emotivi. Il BioArt Theatre Group di Madeleine Barchevska attualmente lavora tenendo presenti le teorie di Jean Marie Pradier e basandosi sui processi fisiologici e chimici implicati dalla scena, dall’esposizione del corpo e della persona, dalla compresenza di attori e pubblico; tuttavia i risultati metodologici sembrano vaghi ed ancora superficiali.
In conclusione, il funzionamento della percezione umana e della comprensione degli altri tramite la Simulazione Incarnata ha portato la riflessione sulle basi neurobiologiche della performance teatrale e sulle sue ragioni evolutive a riconsiderare la vasta questione del “proprium” umano: l’uomo potrebbe essere definito, in ragione della sua incarnata e pervasiva spettacolarità, un Primate Amletico. Egli ha avuto come possibile e cruciale trigger evolutivo e come fondamentale modalità di contatto con l’esterno la simulazione, la ricreazione interna delle azioni, la recitazione di ciò a cui è esposto. L’Homo Sapiens è piuttosto un Homo Hystrionicus, Performans, che ha trovato nella simulazione un meccanismo efficace per lo sviluppo individuale e collettivo. L’uomo ha un teatro nel cervello e le performatività-spettacolarità delle arti sceniche stanno ad esso in un rapporto sineddottico e fisiologico, che va al di là della semplice e descrittiva metafora teatrale.

Maria Giulia Guiducci

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IL TEATRO NAZIONALE PALESTINESE A INTEATRO - POLVERIGI

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